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Dalla loro parte No alla vivisezione

La vivisezione è solo un alibi per i produttori di farmaci.

La Lega Anti Vivisezione risponde con alcune doverose puntualizzazioni alle dichiarazioni rese agli organi di stampa dal prof. Silvio Garattini (Istituto Mario Negri) e da altri ricercatori che difendono la sperimentazione animale.

Considerando che l’Italia per Legge e per volontà scientifica, riconosce la validità dei metodi alternativi (senza uso di animali), il fatto che tali Direttori del settore della ricerca non solo pratichino la sperimentazione su animali ma addirittura la difendano, è non solo anacronistico ma anche scorretto.
Il messaggio della necessità della vivisezione, vista come unico passaggio fondamentale e obbligatorio per il progredire della scienza è profondamente sbagliato e fuorviante; infatti la sperimentazione animale ha comportato, e continua a farlo, grandi errori e ritardi nella scienza: ne sono una testimonianza le 225.000 morti negli Stati Uniti e 197.000 in Europa (dati annuali) per cause avverse ai farmaci, morti silenziose di cui nessuno parla, o il dato allarmante che il 90% dei farmaci non supera le prove cliniche, con un ingente spreco di fondi e di menti umane che lavorano per produrre dati inutilizzabili.

Numerosissimi sono gli esempi che dimostrano come la sperimentazione animale sia una pratica obsoleta e fuorviante e come continui a comportare ritardi nel progresso di una scienza veramente utile per l’uomo; infatti vi sono molte importanti scoperte mediche che non vengono accettate perché non possono essere “provate” da esperimenti su animali, benché siano solidamente basate sull’evidenza clinica. Nello specifico, mentre il prof. Garattini sostiene che “senza la sperimentazione sulle scimmie l’Aids sarebbe ancora una malattia fatale, perché solo sui primati funzionano i farmaci antiretrovirali che hanno portato alla cronicizzazione della malattia”, è doveroso ricordare come in questo ambito siano stati ampiamente utilizzati i macachi (la specie importata e venduta dalla Harlan) inoculati però con un virus “simile” all’HIV: l’SIV, che non infetta la specie umana. Nel 1989 si riuscì a vaccinare i macachi contro l’SIV e nel 1990 iniziarono le prove di vaccinazione dell’uomo contro l’HIV, ma ad oggi nessun vaccino efficace è stato trovato. Per arrivare poi nel 2005 alla dichiarazione del Dr.Hu, ricercatore del Washington National Primate Research Center: “l’efficacia dei vaccini contro l’HIV non può essere valutata con il modello SIV”.

“Il caso del farmaco attualmente più usato contro l’AIDS, l’AZT è indicativo di come la sperimentazione animale rappresenti un alibi per produrre farmaci piuttosto che una necessità scientifica. L’AZT venne approvato nel 1987, fu introdotto sul mercato in base a studi clinici e nonostante provocasse cancro vaginale a topi femmina, infatti venne dichiarato che ‘il cancro nei roditori non è necessariamente indice di cancro nell’uomo’”, afferma la biologa Michela Kuan, responsabile LAV settore Vivisezione.
Un altro esempio è la scoperta che un basso livello di radiazione su di un padre o una madre può causare la leucemia nei discendenti, anche se la radiazione avviene prima del concepimento. Questa scoperta non è confermata da esperimenti animali. Poiché gli animali da laboratorio danno i risultati più svariati, si può dimostrare o confermare qualsiasi ipotesi si desideri.

Non è realistico né corretto cercare di far passare il messaggio che esiste una “buona sperimentazione”, che gli animali non soffrono e che vengono prese tutte le accortezze legali e personali per garantire il benessere degli animali “da laboratorio”. La realtà è ben diversa, come dimostrano i minimi parametri di stabulazione per animali che vivono dentro le gabbie, privati di ogni necessità etologica e fisica e sottoposti a sperimentazioni per le quali non esiste limite al dolore che è possibile infliggere. A conferma di questo, l’allarmante dato che in Italia solo negli ultimi due anni sono state autorizzate più di 400 sperimentazioni in deroga di cui 350 per non ricorso ad anestesia, quindi particolarmente dolorose (fonte Ministero della Salute 2008-2009). Se non fosse così, perché i laboratori non sono mai accessibili? Perché nascondere all’opinione pubblica la realtà degli stabulari costruendoli sotto terra e senza finestre?

Alcune obsolete posizioni restano inspiegabili, come la lotta contro l’art.14 della Legge comunitaria, oggetto di discussione per il prof. Garattini che si è recato a Roma per un colloquio sul tema a Palazzo Madama: questo articolo non prevede il divieto totale di sperimentazione, bensì una ricerca che implementi i metodi alternativi e sia trasparente, aumentando i controlli e la condivisione di dati. Il principio di trasparenza è doveroso e voluto anche a livello europeo secondo la Direttiva 2010/63 attualmente in vigore, quindi l’Italia approvando tale articolo sosterrebbe la posizione richiesta da tutto il territorio comunitario, diventando un esempio per l’Europa, invece di continuare ad avere una ricerca che sperpera fondi e dove le “fughe di cervelli” sono sempre più numerose.

Fonte: leccoprovincia.it

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